Non siamo in guerra!

Nel tentativo di spiegare “scientificamente” il comportamento umano, uno dei fatti più inquietanti resta l’efficacia della propaganda di guerra. Parafrasando Neruda: come si convince chi non si conosce a uccidersi per gli interessi di chi si conosce, ma non si uccide?
Opinioni irrazionali, persino folli, diventano verità ufficiali solo perché ripetute dai media e pronunciate dagli alti colli. Ma i media non sono neutrali e l’autorità non è una prova. Il fanatismo però non discute: concede al massimo un “io la penso così, tu come ti pare”. Risultato: relativismo totale. I fatti non contano più; conta l’interpretazione utile. Se cerchi l’epistéme, se porti l’evidenza, ti liquidano con un’etichetta: “la tua opinione”.
Questo succede perchè la verità non entra solo dalla testa. Senza un moto del cuore, la ragione resta sterile. Del resto i condizionamenti deformano lo sguardo: non vediamo più ciò che accade, vediamo ciò che ai nostri schemi mentali  ed emotivi piace di vedere.
Per questo serve una pratica semplice e difficile: smettere di reagire e fare silenzio. Silenzio abbastanza per sentire la sofferenza che quei “fatti” producono. Lì, al posto del rancore, può nascere qualcosa di più forte: la compassione. Non sentimentalismo, ma lucidità. Questa è ciò che possiamo chiamare neutralità attiva: tutto il contrario dell’ignavia. È presenza, non fuga. È responsabilità, non indifferenza. Attraverso la compassione verso le vittime, in questo caso della guerra, verso tutte le vittime, anche quelle che portano tatuati sul braccio simboli che ci rivoltano lo stomaco, possiamo cominciare a capire “scientificamente” i fatti. La compassione infatti sblocca i condizionamenti ideologici, polverizza il rancore, vaporizza l’odio e accende un’intelligenza più completa, quella che unisce emozione e ragione.
Scatta davanti a un cane ferito: possibile che non si attivi davanti a milioni di morti, vedove, orfani, mutilati? Se il dolore di un animale ci attraversa, quello umano dovrebbe travolgerci.
La compassione per ogni essere vivente che soffre è l’apripista di una verità che non è un’opinione, ma un sapere: perché ci mette nella condizione di non odiare nessuno. Ci permette di restare neutrali e, insieme, pienamente attivi per la pace. Quella pace vera che non è “giusta” né “santa”, bensì il centro del nostro equilibrio interiore.
La compassione e la conoscenza soltanto possono tenerci neutrali e operativi per la pace, quella vera: non “giusta” né “santa”, semplicemente necessaria. E ci ricorda l’unico schieramento decente: stare con le vittime della violenza umana, da qualunque parte stiano.
Graziano Rinaldi

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