Gli alberi sotto i quali abbiamo celebrato uno Yajna, parola sanscrita che sta per “rendere sacro”, erano allo stesso tempo secolari e mutilati. Le querce sempreverdi dal tronco possente, in passato sono state malamente capitozzate, frustrando il loro naturale sviluppo verso la luce. Nonostante l’offesa inferta da mani e cervelli poco ragionevoli, i grandi alberi sono ancora ben radicati e i rami che si sono sviluppati dopo il brutale intervento, sebbene più deboli, sono tornati a manifestare il loro arcano desiderio di dirigersi verso il cielo, offrendo sostegno a innumerevoli popolazioni di animali e di vegetali: nell’intimità delle coriacee foglie perpetuano infatti la trasformazione chimico/alchemica della sostanza inorganica e della luce nel miracoloso costituirsi della vita.
Ho pensato a questa metafora botanica mentre ascoltavo le parole e osservavo i gesti dei due giovani brahmani, cari amici, mentre il Maestro Matsyavatara das sorvegliava e garantiva dell’efficacia del sacrificio.
Una tradizione plurimillenaria quella vedica, “capitozzata” come le altre dalla modernità, ma che si ostina a resistere, manifestando giovani rami e innumerevoli foglie. E’ impossibile distruggere la vita, da qualche parte spunteranno sempre nuovi germogli, come i due giovani uomini che ieri hanno inciso nel vento parole e gesti autorevoli, Mukundacandra das col carisma di una voce tuonante, Mahanidhi das con la sua compostezza ieratica, entrambi concentrati nel rito ancestrale di Agni, l’ardente desiderio che fa da tramite tra terra e cielo, umano e divino.
Si dice che anche un minimo errore nella pronuncia dei mantra possa inficiare il sacrificio. Nei testi della Tradizione così è scritto, ma nei casi citati dai testi antichi c’era sempre qualche elemento che stonava con la purezza liturgica, spesso era una motivazione venata dall’ego. Non sono in grado di dire se il rito sia stato officiato in modo perfetto, ma penso di non sbagliare se dico che quei gesti, quelle parole, quell’emozione che tutti abbiamo sentito nel cuore, era certamente autentica. Le parole che invocavano la pace erano verissime, poiché i sentimenti erano scevri da egoismo e motivati dal desiderio di essere di beneficio a tutti, anche ai malvagi che ci stanno conducendo nell’abisso della guerra.
La parola vola, non perché sia effimera, ma perché risuona come forza viva, creatrice, matrice di realtà.
Se invece la parola è menzogna, distrugge l’armonia cosmica, non è più logos, ma caos. Non c’è niente di naturale o di divino nella caduta dalla verità alla menzogna, è nella libertà dell’umano deviare dalla verità e usare la menzogna per sopraffare gli altri, per dominare, per soddisfare i propri capricci a scapito degli altri esseri umani e della natura. Quando le bugie diventano la nuova liturgia, non potrà esserci che conflitto e infine guerra aperta.
Noi però possiamo ancora contrastare la follia degli ego ipertrofici dell’uno per cento che domina la popolazione mondiale. Ognuno di noi può far risuonare parole di verità dove regnano le fandonie dei potenti. Se anche una minima parte di quelli che ora pensano al presente come normalità, risorgeranno alla speranza di un cambiamento, vero, profondo, sperimentato nel cuore, allora i nostri figli e nipoti avranno ottime possibilità di stendere i propri rami in alto, di far crescere le loro foglie alla luce di una nuova consapevolezza. La stessa che i miei amici brahmani e il Maestro hanno onorato ieri nel rito del Brahma Samita in compagnia di Agni, fuoco che purifica e porta potentemente in alto ciò che di meglio veglia nel nostro cuore.
Graziano Rinaldi
15 settembre 2025
