Non Bagnare le Foglie dai Acqua alle Radici

dante e agostino

Perché gli esseri umani proclamano di amare la natura e contemporaneamente la distruggono?
Perché dicono di volere la libertà e così facilmente si sottomettono e si fanno la guerra?
Una metafora, tante volte ascoltata alla Scuola di Marco Ferrini è la risposta: “Se vuoi beneficiare una pianta, non bagnare le foglie, i fiori, o i rami, dai piuttosto acqua alle radici”. Nascoste nel terreno, da loro scaturisce tutto ciò che è visibile, se curi le radici curi il benessere di tutta la pianta.
Dove sono le nostre radici?
Cos’è che origina e dà senso al poderoso manifestarsi della vita?
In occidente da almeno duemilasettecento anni (Scuola di Mileto) prosegue l’indagine sulla  causa prima (l’arché) che dia senso alla nostra presenza nel qui e ora. Da secoli quella che noi chiamiamo “scienza” è impegnata  nella ricerca di una formula che sintetizzi in un principio ordinatore o, più recentemente, in un’equazione matematica, le leggi che regolano l’universo al di là delle multiformi apparenze.
Le scuole filosofiche dell’antichità erano scuole iniziatiche, molto simili agli ashram dell’India classica, dove i discepoli si riunivano anche per un lungo periodo di noviziato intorno a un maestro, il quale impartiva insegnamenti di “filosofia naturale” e morale. Soprattutto però “iniziava” i suoi adepti all’introspezione interiore fino all’esperienza mistica. Non era concepibile una vera conoscenza che prescindesse  da quella che, per capirsi, oggi chiameremmo ricerca/realizzazione spirituale.
Dalle parti dell’Europa, con l’avvento del cristianesimo nel cuore dell’impero romano, abbandonati coattivamente i riti orfici e qualsiasi altra procedura di collegamento al divino in favore di un clero dispensatore della verità assoluta, tra persecuzioni e violenze di tutti i tipi, si è comunque mantenuta la trasmissione della conoscenza ancora collegata all’esperienza mistica, anche se molto spesso, ma non sempre, derubricata a semplice liturgia religiosa.
Poi qualcosa cambiò.
A partire dal XVI secolo, coi grandi viaggi intercontinentali dei colonizzatori europei, è iniziato, prima impercettibilmente poi dirompente come una slavina, lo scollamento tra scienza e “interiorità umana”: stava nascendo la scienza moderna.
L’impeto laicista e scientista degli ultimi quattro secoli, ha spostato il centro d’interesse su un piano decisamente orizzontale, e sacrificato quell’interiora omnes che da sempre era stato il nucleo di riferimento di ogni essere umano considerato minimamente civile, sia che girovagasse nomade nelle praterie o fosse inurbato nelle grandi città del passato.
Il risultato di questo processo… siamo noi, una società con forti venature nichiliste, edonista, inevitabilmente incentrata sull’affermazione individuale-narcisista, che si manifesta in un’esistenza tutta proiettata all’esterno: questa è la radice del mondo globalizzato ai valori occidentali, ben accolti e abbondantemente frequentati anche in oriente.
Se daremo acqua a queste radici, la pianta ci restituirà il frutto velenoso della discordia e della frammentazione, della solitudine depressiva e dell’aggressività imperialista.
Amputato della sua più profonda interiorità, l’uomo e la donna contemporanei  vagheggiano  di uno spirito che è la fallace proiezione del proprio ego, ovvero un’altra mistificante copertura della propria vera natura. Abbiamo sostituito l’idea di Dio con la parola Natura, scienza anziché religione, abbiamo confuso destino ed evoluzione, caso e ordine, necessità e libertà, aumentando la confusione e la sofferenza di miliardi di persone.
Come ogni parto è anticipato da un travaglio, questa terribile crisi di autoritarismo e di guerra in cui siamo  immersi, farà nascere una nuova consapevolezza. Chi vorrà, chi avrà l’umiltà, il coraggio e il desiderio di uscire dal mondo illusorio della pillola blu, potrà risorgere ad una vita antica di unità col tutto, di verità e di conoscenza che è già all’interno di ogni essere, ma bisogna ri-collegarsi. Se nutriamo, se diamo acqua a questa radice, allora sboccerà il germoglio della compassione verso tutto il creato, poiché scopriremo che la verità consiste proprio nel sentirsi tutt’uno con ciò che prima appariva separato, questa è la vera pace e il vero amore per la natura, nel quale rientra l’impossibilità di nuocere a chiunque.
E’ una visione che ognuno porta nell’area più recondita del proprio cuore, e dalla quale deriva quella libertà che nient’altro può generare se non “l’amor che muove il sole e l’altre stelle”, ovvero la legge che ordina l’universo, impossibile da racchiudere in un’equazione.
“Rientrate nel vostro cuore, prevaricatori, e unitevi a colui che vi ha creati. Restate con lui, e resterete saldi; riposate in lui, e avrete riposo” (Agostino. Conf., IV, 12.18). Dante, come Agostino d’Ippona, deve però percorrere tutti i gironi dell’inferno e del purgatorio prima di accedere al Paradiso e anche qui, solo nell’ultimo canto, il centesimo dell’opera più grandiosa dell’occidente cristiano, il Poeta riesce ad avere per un solo istante la visione che cambierà per sempre la sua vita: chiamalo Dio se vuoi, è quello! Coltivando “quello” coltivi anche tutto il resto: “Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te.” (Agostino. Conf., X, 27.38.)  
Un attimo e tutto cambia, ma presuppone un lungo e faticoso viaggio.
Ne vale la pena?
Il problema è che lo capirai veramente solo dopo che sarai arrivato.
Graziano Rinaldi

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