I più spregevoli dannati nell’inferno dantesco, non sono i traditori dei benefattori, bensì le “anime triste di coloro che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”.
Le poche terzine dedicate alla folta schiera di questi sciagurati chiamati ignavi, sono normalmente interpretate come manifestazione del carattere e della vita di uomo che non esitò a schierarsi in una Firenze al colmo di drammatiche tensioni sociali e politiche.
La Commedia è un’opera sublime che, costretta nelle maglie di ferro della cultura accademica, è stata depotenziata del suo senso più alto e derubricata a “grandiosa opera letteraria”, imbalsamata come una bestia rara, annoiando generazioni di studenti
Negli ultimi settecento anni, alcuni illustri lettori hanno “sentito” che all’interno di quest’opera, “sotto il velame dei versi strani”, si cela il senso più profondo. Sotto la straordinaria bellezza letteraria, le iconiche allegorie e la trasmissione di valori morali immortali, c’è altro a cui non si accede nelle scuole o nelle università. Non so dire se Dante fosse lui stesso arrivato ad una conoscenza mistica, ma la Commedia è certamente un’opera iniziatica, il più poderoso e completo trattato alchemico dell’occidente cristiano, la sintesi più alta di mille anni di ricerca spirituale.
Se la Commedia è veramente questo, allora mi chiedo chi sono oggi gli ignavi?
Parlando di loro Dante dice che hanno abdicato a “lo maggior don che Dio …fesse creando, e a la sua bontade più conformato, e quel ch’ei più apprezza”, ovvero la libertà, il libero arbitrio, la capacità tipicamente umana (che secondo Dante condividiamo solo con gli angeli) di discernere (il ben dell’intelletto) e scegliere da che parte stare, assumersi la propria responsabilità individuale e nella società.
C’è di più.
Dante descrive gli ignavi come “gli sciaurati che mai non fur vivi”.
Cosa significa essere vivi?
Se intendiamo vita come la nuda vita biologica, tutti sono stati vivi, anche gli ignavi, ma Dante ci dice che essi non furono mai vivi. La vita che intende Dante infatti, e che noi contemporanei dovremmo riconsiderare attentamente a causa della triste situazione in cui ci troviamo, è fatta di relazioni e sostenuta da qualcosa che non ha a che vedere con la salute dei nostro corpi. La vita è un continuum, non nasce né muore, la vita si manifesta nel tempo e nello spazio, ma non gli appartiene.
Solo un viaggio come quello che il Poeta descrive nella Commedia, impegnativo, spesso doloroso, permette di accedere alla più alta libertà. Si tratta di un viaggio che partendo dal corpo e per successive purificazioni (alchemiche), permette di accedere a quell’energia vitale che noi, non avendo altre parole, chiamiamo spirito.Ignavo è dunque colui che si sottrae a questo viaggio all’interno di sé stesso.
E un po’ tutti lo siamo ignavi, ma lo siamo ancor di più quando andiamo dietro ai luoghi comuni, quando la vita diventa un movimento inconsulto, quando corriamo dietro a ciò che il tempo fatalmente demolirà. E certamente demolirà molto se non tutto a cui ci siamo attaccati per dare un senso alla nostra esistenza.
La Commedia può essere ancora oggi rivoluzionaria, poiché chi cerca lo spirito cerca la versione più alta della libertà umana. In ciò consiste l’essere vivi, nel risvegliarsi alla nostra più intima e vera natura, qualcosa che nessun regime autoritario potrà sequestrare, che non sottostà ai conformismi del politicamente corretto e non spinge all’affermazione del proprio ego, né individuale né collettivo .
Allora che fare oggi che non Firenze, ma l’intero Pianeta è dominato da una follia autodistruttiva?
Cosa possiamo contro le bugie e la propaganda mascherata da buonismo?
Come opporsi ad una nuova religione materialista che vede negli scienziati i suoi sacerdoti e nella vaccinazione di massa la sua più alta liturgia?
Come possono miliardi di persone terrorizzate dalla nuova teologia epidemica, costantemente spiegata ai fedeli telespettatori da chierici asserviti, risvegliarsi a una coscienza critica?
La cattiva o forse buona notizia, è che nessuno ha una ricetta.
Spesso chi pensa di essere “libero” dal sistema, cade nella trappola dell’autoreferenzialità, in un ego che divide sé e i suoi sodali dal resto dell’umanità. La litigiosità tra i funzionari del sistema, come quella tra i suoi oppositori, dimostra l’insufficienza della mente e la necessità di percorrere un altro sentiero, ammesso che ne abbiamo il tempo.
Una conoscenza meno accademica e più “spirituale” di Dante, come di altri testi della Tradizione, sono certo possa dare un contributo al risveglio di questa umanità persa e sofferente dietro ad insensate banderule.
E non è che chi manovra queste banderuole sia meno sofferente delle vittime.
Grazano Rinaldi