Fratelli Tutti?

enciclica fratelli tutti

Secondo alcuni autodefinitesi “veri cristiani”, la fratellanza proposta da Papa Francesco nella sua enciclica “Fratelli Tutti”, risuonerebbe più di sacrilego giacobinismo illuminista che di “vera” cristianità. Lasciamo ai “veri cristiani” la credenza per cui si dovrebbe definire “fratello” solo chi condivide da battezzato la fede cattolica, poiché anche gli “altri cristiani” non sono parenti così stretti, figuriamoci gli appartenenti a fedi diverse o addirittura i non credenti.
Questa diatriba tra cattolici potrebbe essere bellamente ignorata se non avesse delle importanti ripercussioni nella nostra vita di occidentali che, seppure non cattolici, siamo nati e vissuti all’interno della tradizione cristiana, in Italia declinata al cattolicesimo.
Senza il ricordo del grembo culturale da cui proveniamo e uno sguardo aperto e libero al mondo della spiritualità, non ci potremo salvare dalla schiavitù della tecnica che coi suoi protocolli sta occupando ogni interstizio di umanità ancora vitale. In altra occasione vorrei parlare dell’identità tra spirito e libertà, ma in questo contesto quel che mi preme mettere a fuoco è la distorsione ideologica, pertanto semplificatrice e strumentale, del pensiero dell’attuale pontefice su questo particolare aspetto.
Personalmente posso vantare solo una breve esperienza puberale di chierichetto annoiato. Nonostante ciò e proprio per l’humus culturale di occidentale in cui sono vissuto, avverto come innaturale la rigidità dottrinale degli autoproclamati “difensori della vera fede”.
Il primo capitolo dell’enciclica s’intitola “Le ombre di un mondo chiuso”, una premessa di contemporaneità per affrontare ben attrezzati il secondo capitolo, incentrato sulla parabola del buon Samaritano. Ricordo che i Giudei, cui apparteneva Gesù, disprezzavano i Samaritani, considerati spregevoli e impuri. Nel racconto di Gesù la persona ferita è un giudeo, le due persone che passano e fanno finta di non vedere, sono un sacerdote e un membro della tribù di Levi che derivano il loro alto lignaggio niente di meno che da Aronne.
L’unico che si prese cura del ferito fu un “impuro” samaritano.
Se Luca non distorce, qui Gesù, parlando con un “dottore della legge” (come quelli che oggi fanno da contraltare al Papa), gli chiede chi sia “fratello”, o meglio verso chi dobbiamo farci fratelli (e sorelle), quel “prossimo” che talvolta nell’Antico Testamento si presentava come “colui che appartiene al Mio popolo” e non altri.
Certamente il samaritano non era stato battezzato da Giovanni, certamente il “dottore” che interrogava Gesù faceva parte del popolo eletto, e alla domanda del Profeta su chi fosse il “prossimo”, il dottore non può che rispondere “chi ha avuto compassione”, dunque, dice Gesù, “Và e fai anche tu così”.
Il messaggio evangelico è chiaro, non perché la verità proviene da una disputa teologica, ma per l’evidenza della “legge” nel suo spirito. Gesù è il declinatore all’amore dell’Antico Testamento, mitiga il “duro giudicio” ed estrapola, ne porta alla luce i germogli vitali come in Sir 18,13: “La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo, quella del Signore ogni essere vivente”. Quel che interessa al fondatore del cristianesimo non è la dottrina che pure riconosce e rispetta, bensì la pratica concreta del bene.
La fratellanza della Rivoluzione francese si è frantumata in un oceano di sangue, manipolata da ego debordanti, intrisi di maniacale volontà di potenza; il fuoco che questa idea ha ispirato nel cuore di milioni di persone, ben oltre la presa della Bastiglia, attinge ancora oggi a qull’idea di “prossimo” che duemila anni fa fece di un emarginato sociale un esempio da seguire.
La fraternità di Papa Francesco non si ispira a quella della Rivoluzione francese, ma al contrario sono i concetti cosiddetti laici di qualsiasi rivoluzione avvenuta in occidente (compresa quella scientifica), che si ispirano alla morale cristiana. Pertanto mi pare che gli autoproclamati ortodossi della fede stiano facendo un errore basico, a mio modesto avviso motivato dalla pervicace volontà di opporsi ad un papato scomodo non per la dottrina ma per altri motivi molto più “terreni” e politici.
Le categorie della modernità attingono ai miti fondativi delle nostre società, per questo, anche chi non ha interesse per religione e fede, non può disinteressarsi delle “faccende dello spirito” e, aggiungo con sincero desiderio di comprensione, oggi come ai tempi del Bonaparte, dovremmo ben guardarci da chi usa per fini egoici/egoistici questi stessi simboli che incendiano il cuore, rischiando talvolta di bruciare anche il cervello.
Graziano Rinaldi

Rispondi