La Città Spaccata

divisione sociale covid19

Vivevano nella stessa città, l’uno accanto all’altro, ma quando scoppiavano dei conflitti si dividevano in due fazioni fanatiche ammazzandosi l’un l’altro senza pietà. La parte che vinceva esiliava i perdenti, ne confiscava i beni e riduceva in macerie le case dei nemici più in vista: nell’amministrazione cittadina non era previsto ci fosse una maggioranza e un’opposizione.
E’ il XIII secolo nella città considerata la più “evoluta” dell’occidente cristiano del tempo: Firenze.
Guelfi e Ghibellini sono due parole che ancora oggi evocano la drammaticità della spaccatura sociale.
Innumerevoli vicende s’interpongono tra i tempi di Dante e la contemporaneità, ma non siamo riusciti neanche lontanamente a costruire quel paradiso in terra auspicato prima dalle tradizioni religiose, poi dalle grandi ideologie e infine dal progresso della scienza, l’ultima “grande illusione”.
Eccoci ora ad affrontare una malattia planetaria con scienza e strumenti tecnici inimmaginabili, non dico nel 1200, ma solo cinquant’anni fa, però con la stessa mente guerreggiante dei contemporanei del Poeta.
Fin dall’inizio e tanto più adesso, regna una gran confusione sotto il cielo pandemico.
Diversità di opinioni, vitali nel ragionamento scientifico, ma trasmesse cogli attuali mezzi di comunicazione di massa, hanno creato un polverone che impedisce anche solo d’intravedere con quale ratio stanno agendo le istituzioni.
Risultato: tutti schierati su due (talvolta anche più) fronti belligeranti con violente stigmatizzazioni dell’avversario, al modo delle antiche scomuniche.
Non la razionale paura di un pericolo conosciuto, ma l’angoscia per un virus enigmatico e molto contagioso che sommata alla preoccupazione, quella si concretissima, di una gigantesca crisi economica e sociale, sta creando un clima poco favorevole alla ragione e all’incontro.
Di fronte a narrazioni dell’epidemia così diverse e contrastanti, personalmente faccio fatica a capire dove stia la verità, quella “tecnico-medica” dico. Vorrei però, per chiarirmi io stesso e sempre aperto a suggerimenti e correzioni, condividere con chi sta leggendo alcuni punti di metodo.
Per la durata di questa riflessione, lasciamo agli scienziati la tormentosa discussione sulla biologia del virus, sospendiamo anche il giudizio sui governanti, nostrani e internazionali, concentrandoci non sulle “intenzioni” della Bill & Melinda Gates Foundation o dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma sulla lezione e sulle probabili conseguenze che derivano dall’esperienza di Covid-19.

  1. Cambiare visione oppure morire di salute.
    Uscendo da considerazioni folkloristiche sui difetti italici, è realtà facilmente verificabile che nei decenni passati, vuoi per egoismo, vuoi per negligenza e ignoranza, si è consumato un crimine doloso: l’assistenza sanitaria, così come la scuola e tutti i “beni pubblici” (aziende, ambiente, risorse naturali, ecc.), sono stati derubricati a “beni economici”.
    La lingua ci aiuta: perché chiamare un dipartimento sanitario “Azienda sanitaria”?
    Risposta politicamente corretta: perché il pubblico deve rispondere di un’efficienza come fosse appunto un’azienda privata!
    Errore: il problema dell’inefficienza nel settore pubblico, ora lo sanno anche i sassi, sta nell’etica, non nella gestione.
    Dalle nostre parti si dice che “il pesce puzza dalla testa”, tanto più stai in alto, tanto più hai responsabilità, che invece qualcuno scambia per i privilegi di un esercizio feudale del potere, svolto direttamente e attraverso moderni vassalli e valvassori, attrezzati con un’infinità di procedure e di protocolli che umiliano chi li pratica e uccidono chi li riceve.
    E’ ora di cambiare registro, la gestione economicistica dei beni pubblici (la salute dei cittadini italiani è uno di questi) ha fallito: il mondo sta crollando sotto i nostri piedi e l’epidemia lo rende palese anche ai più dormienti.
    C’è bisogno di una particolare fede politica per convenire che bisogna ripartire da una medicina del territorio?
    Se per ogni problema sanitario dobbiamo ricorrere all’ospedale, non sorprendiamoci di vedere file di ambulanze davanti ai pronto soccorsi. Presidi sanitari come consultori, centri di prevenzione e di cure a bassa intensità e riabilitazione, devono decongestionare l’ospedale che va riservato a cure gravi, urgenti e specialistiche.
    Per organizzare questa rete va superata, tra le altre, l’ambiguità pubblico-privato dei medici, e qui qualcuno si risentirà.
    Consideriamo anche che oggettivamente, al presente, non c’è più la possibilità da parte della sanità pubblica di prendersi dignitosamente cura di tutti gli assistiti. Con l’aumento esponenziale delle malattie oncologiche, psichiche, cardiovascolari, degenerative, ecc. se non verrà fatto un sano e capillare lavoro di prevenzione e informazione riguardo ad uno stile di vita più sano, le condizioni, specialmente dei meno abbienti, ovvero della maggioranza della popolazione, saranno sempre più miserrime.
    In un mondo fortemente inquinato, dove le persone sono talmente disorientate da ingozzarsi di cibo spazzatura pensando di essere “libere di scegliere”, affette con precoce dipendenza da sostanze tossiche chimiche e coazioni psichiche, pensano di essere padroni a casa propria, quando invece mai sono state così etero dirette. Inviterei tutti, ghibellini, guelfi di parte bianca e di parte nera, a “pressare” il nostro governo affinchè impegni gli attesi finanziamenti europei Covid nella medicina di comunità. Sarà un lavoro più impegnativo, presuppone un’intelligenza organizzativa nella direzione di umanizzare il servizio anziché istituire nuovi protocolli sanitari. E’ più facile farsi belli acquistando costosi macchinari, piuttosto che costruire una medicina preventiva basata su cittadini consapevoli e ben informati, esattamente quel che non vogliono le grandi corporations e i politici mediocri e/o corrotti.
    Le alternative ad una seria medicina di base mi paiono due: o ci si rassegna allo status quo o non ci dobbiamo ammalare mai, di nessuna malattia!
    Graziano Rinaldi
    Prossimo post sul “distanziamento sociale”

Rispondi