Dove si trova il cuore?

sadana

Un vero maestro non dà istruzioni, ispira, suscita una visione nella quale modellare il proprio divenire.
Un maestro autentico non indica un’ampia entrata con la strada in discesa.
Un maestro ti dà gli strumenti per metterti al lavoro, per tutta la vita.
Il maestro ti corregge con le parole e col silenzio, senza nessuna accondiscendenza.
Il maestro ti accompagna fino alla conquista della libertà.
Libertà?
Qui, come Giorgio Gaber in “Il Senso” nell’album “Io se fossi Gaber” 1985, dico:
STOP! STOP! STOP!
Gli ultimi due seminari col Maestro Matsyavatara Das, al secolo Marco Ferrini, si sono incardinati sulla ricerca del senso della parola “libertà”, e credo che sarà così anche per il terzo ed ultimo in agosto.
Parole come libertà, giustizia, amore, politica, meditazione, ecc. meritano l’approfondimento che il Maestro gli sta dando, per ri-collegare la realtà che vediamo con quella che non vedremmo senza i nuovi occhi che insieme (sat sanga) faticosamente e gioiosamente ci stiamo costruendo.
I due seminari di giugno e luglio sono stati un viaggio in territori arcani della nostra psiche, alla scoperta nientemeno che del senso della vita.
Detta così può sembrare presunzione, eppure chi ne ha fatto esperienza sa di aver salito, o sceso nel profondo, un gradino e forse più. L’ispirazione che deriva da questi incontri col Maestro è come un fuoco che accende desideri sovrastanti la quotidianità, ma allo stesso tempo illumina proprio le piccole e grandi cose del mondo.
Ma di quale mondo?
Chi e cosa “costruisce” il mondo?
Cosa viene prima del “mondo”?
Partiamo da lontano: 200.000 anni fa.
In Africa compaiono un’Eva e un Adamo che daranno origine alla stirpe degli uomini contemporanei, diffusasi molto più tardi in tutto il resto del mondo.
Così risulta dai test genetici più aggiornati.
Premesso che ogni teoria scientifica è tale se è confutabile (K. Popper), al momento prendiamo ciò che ci viene consegnato.
Ebbene, in questa prospettiva l’Europa era stata abitata per ben 200.000/400.000 anni da un altro ominide, tale Homo neanderthalensis, il quale scompare improvvisamente circa 40.000 anni fa, proprio in corrispondenza di un’ondata migratoria dei nostri progenitori.
Lasciando da parte le ipotesi più o meno fantasiose e inquietanti sulla causa dell’estinzione, quel che qui interessa è un dettaglio che pare sia stato cruciale nel determinare il destino delle due specie di Homo: una piccola differenza alla periferia del gene FOXP2 che impediva ai neandertaliani di parlare come noi.
Parlavano si, memorizzavano, ma non con quel meccanismo che s’instaura quando impariamo a guidare l’auto, ovvero senza più pensare come all’inizio ad ogni singolo movimento.
Si chiama “memoria procedurale”, ha a che fare anche col linguaggio.
Noi sappiamo che senza gli strumenti chiamati “parole” non è possibile concettualizzare e che il mondo di tutte le creature è delimitato dal loro linguaggio.
Mente (manas) e parola (vac), nella loro complementarietà costruiscono il mondo, la realtà come costruzione sociale.
Vac (si pronuncia come la c di cena) nei Veda è la parola creatrice, chi è padrone della parola costruisce il mondo, ma ci sono delle condizioni, la prima è che la parola esprima il linguaggio del cuore.
STOP! STOP! STOP!
Non s’intende con questo il neoromanticismo sentimentale di “va dove ti porta il cuore”, al contrario la strada è ben delimitata da yama e nyama, i dieci plinti dell’ashtanga yoga.
Di solito chi fa appello al cuore, immagina sentire e libertà strettamente connessi.
Nella visione vedica un “cuore” non educato al dharma non è capace di indirizzare i flussi universali in cui comunque si verrà a trovare, piuttosto ne sarà travolto.
La libertà è la premessa e allo stesso tempo si trova anche all’interno di una visione d’insieme (darshana) che ha superato l’assedio della paura e dei condizionamenti.
In definitiva è lo yoga stesso, inteso come unione.
Unione con chi, con cosa?
Col divino che è in ogni creatura e nel creato.
Libertà allora non dipende più dalle contingenze, coincide col vero e s’identifica col dharma, ovvero in quel tutt’uno percepibile col senso di gioia interiore, oscillante tanto meno quanto più si sono abbandonate le attività adarmya.
Libertà e disciplina, lungi dall’essere agli antipodi, vivono dunque intrecciati nutrendosi l’uno dell’altro.
Da questa unione nascono le parole che creano e curano, il mondo del cuore nel senso di accordo, in opposizione al tempo del dis-accordo, dell’essere fuori dal centro, dal cuore, da quel “noi stessi” che se invece riconosceremo, potremo finalmente prendervi posto come pacifici signori di sé stessi, ricomponendo la scissione che crea disagio, infelicità, vita non vissuta, conflittualità.
Una frammentazione tutta interna, ma continuamente alimentata da un mondo all’impronta dell’affermazione del proprio ego, tutto in orizzontale, tutto molto, molto triste e in disfacimento.
Pertanto nessuno si stupisca se in questi seminari si parla anche di profano, poiché in realtà tutto è illuminato (o illuminabile).
Graziano Rinaldi

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