Complessità del Mahabharata e sciocchezze sul karma

Ci sono un paio di domande che le persone più sensibili prima o poi devono porsi:
1. Perché uno nasce povero e un’altro ricco, uno sano e un’altro malato, cos’è la fortuna?
2. Il caso esiste o c’è un ordine che fa accadere quel che accade, compreso l’olocausto di intere popolazioni come gli ebrei europei e gli indiani d’America?
Chi abbia qualche ricordo della straordinaria complessità della fotosintesi clorofilliana, di quel fotone che fa decadere un elettrone (nome che noi diamo ad un’energia che in qualche modo dobbiamo rappresentarci) il quale innesca una complicata serie di processi alla fine dei quali da anidride carbonica, acqua e luce ne deriva glucosio e ossigeno: ogni giorno sul nostro pianeta la vita come noi la conosciamo prende il via da un’inconcepibile quantità di energia che, grazie al sole, si mette in moto.
C’è qualcosa nell’universo che non abbia origine da una causa?
Dopo migliaia di anni d’indagine, oggi noi possiamo spiegare una parte infinitamente piccola della complessità che ci circonda e più scopriamo del mondo naturale, più aumenta la complessità da fronteggiare, ma sempre intravediamo una sequenza causa-effetto.
L’ultimo mito della contemporaneità è stato il codice genetico che negli anni novanta sembrava poter spiegare ogni cosa su questo pianeta e anche oltre. Non era come si pensava, come sempre la scienza, ma direi più in generale l’umanità, ha sempre cercato di spiegarsi il mondo nella relazione causa-effetto.
Eppure ci sono cose che non riusciamo a far rientrare in questo schema, come le domande iniziali.
La logica però mi dice che se tutto è regolato dal principio di causa-effetto, perché mai la nascita di un essere vivente, uomo o animale che sia, dovrebbe essere affidata a … a cosa? Al capriccio di una certa quantità di cromosomi? Al caso? Alla fortuna/sfortuna? O al volere di una Divinità.
Mi pare che la vita nelle sue infinite manifestazioni, dal filo d’erba al Dalai Lama, sia troppo impegnativa per poterla affidare all’incertezza di una parola poco concettualizzabile come il caso; già Democrito, il “materialista”, affermava: “il caso è definito tale solo finché non ne conosciamo le cause.”
Ci sono però “cause” di fronte alle quali la ragione umana ha “l’ali corte”.
Così come il codice genetico non può determinare meccanicamente ciò che noi saremo nel divenire, così, a mio parere, non dovremmo accettare nessuna mitologia che si basi sul caso o sulla fortuna. Mi paiono piuttosto alibi per non vedere la realtà così com’è, ovvero scomoda fino allo sconveniente. In questo mi faccio forte degli insegnamenti dei Maestri di oggi e del passato, a quegli umani che hanno dedicato la vita alla ricerca interiore e che non hanno mai abdicato al “caso”. E’ vero che alcuni scienziati anche di grande levatura, soprattutto nella biologia, hanno elevato il caso a nucleo centrale delle loro ipotesi, ma sono state fioriture effimere, mi pare che nella storia del pensiero umano il filo rosso non sia il caso né la necessità, piuttosto la responsabilità.
Noi non sappiamo da dove veniamo e neanche conosciamo il perché siamo in una posizione piuttosto che in un’altra, la filosofia del karma, e non si pensi che sia un’esclusiva dell’India classica, ci dà una spiegazione plausibile, ci dice che ad ogni azione corrisponde una reazione, sia nel campo fisico che in quello psichico e questo determina morti e nascite. Lo sosteneva anche Platone e lo pensavano molti illuminati sia tra i pagani che tra i primi cristiani. Solo noi, uomini e donne figli del tecnicismo e della secolarizzazione, desacralizzati ed atomizzati in un individualismo ottuso… semplicemente non ci poniamo il problema, poiché, si dice, non c’è una risposta.
Forse più che di nichilismo si tratta di mancanza d’umiltà, quella di pensare che non potremo mai “capire” da dove proviene il filo della nostra esistenza nello sterminato arazzo della vita, dovremmo invece capire che la nostra intelligenza può penetrare solo una piccola parte del grande meccanismo, per noi umani è normale non capire che quello che ci può apparire come una disgrazia potrebbe essere la nostra più grande chance, oppure che quello che noi consideriamo di più desiderabile sia all’origine della nostra rovina. Ci sono tante storie nel Mahabharata che ci parlano di questo, i seminari del Maestro Marco Ferrini sono preziosi per entrare nel cuore del problema, anche se delle volte sembra che parlino di un’intricata storia di dinastie regali.
Chi siamo noi per capire il karma?
M’imbarazza sempre sentirne parlare in modo superficiale: “lui/lei è così perché nell’altra vita…” e sciocchezze del genere. Capisco l’esigenza di ridurre alla semplicità della nostra sottile materia grigia qualcosa che ci sovrasta, ma il modo giusto di porsi non è quello di semplificare, bensì di dedicare la vita alla ricerca, con umiltà, curiosità e senza egoismo.
Come prodotto secondario potrebbe scaturirne la felicità.
Graziano Rinaldi

Rispondi