Libertà va cercando

Ora che siamo di fronte all’ultimo seminario sulla Bhagavad Gita (agosto 2013), dopo 3 anni, 12 seminari di più giorni in varie parti d’Italia, centinaia di ore di lezione di Marco Ferrini, realizzo il percorso spirituale e psicologico fatto insieme a queste persone e al Maestro. Quanti cambiamenti nella mia vita esteriore e tanto più innumerevoli in quella interiore. Tre anni che sommati agli altrettanti precedenti in cui ho seguito il maestro nei suoi seminari itineranti, hanno trasformato la mia esistenza.
Io stesso non mi riconosco più.
E lo dico con la stessa consapevolezza del paradosso che ha caratterizzato ogni istante della mia partecipazione a questa comune avventura. Nei pochi, ma luminosi momenti in cui sono riuscito a riallineare l’intelletto col cuore, si è sciolta in me la scorza dura delle convinzioni automatiche, radicate nelle profondità oscure della mente e questo è successo proprio grazie alle paradossali verità, apparentemente contraddittorie, esposte dal Maestro nel commento alla Bhagavad Gita.
Io pensavo che la fede fosse l’arrendersi all’incomprensibile grandezza che ci sovrasta, immaginavo l’essere umano come una  “minima particella del creato… che porta in giro con sé la sua natura di morte” , ho capito che… è proprio così, ma ora comprendo meglio anche il seguito dell’affermazione di Sant’Agostino nelle Confessioni: “ci hai fatto per te e inquieto è il nostro cuore finché non s’acquieta in te.” : quell’abbandono che noi intuiamo derivi da una fede smisurata e senza condizioni altro non è se non l’espressione concreta della più alta libertà individuale.
Forse per qualcuno è una verità facile da comprendere, io invece non ho incominciato neanche a decifrarla fino a quando non ho messo insieme il portato della tradizione cristiana in cui sono nato con la sapienza della tradizione indiana. E posso affermare che senza una guida in carne ed ossa, un maestro, credo sarebbe rimasto tutto ad un livello puramente intellettuale, ma la vita, quella quotidiana dico, dove ti devi rapportare ai furbi e agli sciocchi, ai parenti e ai serpenti, quella, avrebbe continuato a mostrare lo stesso colore opaco.
“Tu, tu lo spingi a trovar gioia nelle tue lodi, poiché ci hai fatto per te e inquieto è il nostro cuore finché non s’acquieta in te.” (Sant’Agostino, Confessioni, 1,1) “Se diventi cosciente di Me, per Mia grazia supererai tutti gli ostacoli della vita. Se non agirai in questa coscienza, ma secondo il tuo ego senza ascoltarmi, sarai perduto”. (Bhagavad Gita 18, 58). Dove sta quindi la nostra libertà? Non è paradossale la coincidenza tra libertà e acquietarsi in te o, nei termini della Bhagavad Gita, agire nella coscienza di un essere altro?
Per la mia comprensione “prima” della frequentazione del Maestro era sì un paradosso, ma verosimile, se assumiamo che la nostra natura sia divina, pertanto per l’essere umano la strada verso la libertà altro non poteva essere che la ricongiunzione col tutto, con Dio o con qualcosa che possiamo chiamare in tanti modi diversi. Cosa ha dunque trasformato in me la lettura della Bhagavadgita di Marco Ferrini rispetto a questo paradosso?
Sinteticamente: ha fatto dialogare il dogma col cuore e con l’intelletto, ha trasformato un’accettabile verità filosofica in un’etica dell’azione. Io me lo spiego col contenuto stesso della Bhagavadgita che ora mi è più chiaro e col commento del Maestro, il quale, fin dalla prima strofa, ha imperniato il suo bashia (commento) sull’indispensabilità del libero arbitrio, di un intelletto lucido,  purificato dai condizionamenti dell’ideologia e delle passioni. Un intelletto che, libero, approda alla libertà d’amare, ma non è un’affermazione scolpita nella roccia, no, è un lungo e difficile (inutile nasconderlo) cammino che inizia col primo verso della Bhagavadgita e termina dopo 700 shloka, quasi un manuale per rendersi felici, istruzioni concrete e pratiche, accertabili col nostro grado di felicità e pienezza di vita. Anche in questo sta la grandezza di quest’opera che, paradossalmente, ci rende facile il difficile, gradevole ciò che apparentemente sembra insopportabile. Ci insegna il dharma e, scientificamente, ci dà gli strumenti di verifica, approcciabili da chiunque abbia il sincero desiderio di crescere e migliorarsi.
Un grazie al Maestro.

1 commento su “Libertà va cercando”

  1. La nostra paura più profonda
    Marianne Williamson

    La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati.
    La nostra paura più profonda è di essere potenti oltre ogni limite.

    E’ la nostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più.
    Ci domandiamo: ” Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? ”
    In realtà chi sei tu per NON esserlo?

    Siamo figli di Dio.
    Il nostro giocare in piccolo,
    non serve al mondo.
    Non c’è nulla di illuminato
    nello sminuire se stessi in modo che gli altri
    non si sentano insicuri intorno a noi.

    Siamo tutti nati per risplendere,
    come fanno i bambini.
    Siamo nati per rendere manifesta
    la gloria di Dio che è dentro di noi.
    Non solo in alcuni di noi:
    è in ognuno di noi.

    E quando permettiamo alla nostra luce
    di risplendere, inconsapevolmente diamo
    agli altri la possibilità di fare lo stesso.
    E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
    la nostra presenza
    automaticamente libera gli altri.

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