La Bhagavad Gita può cambiare il modo di pensare e ricollocarci nell’universo.



Prima Lezione del secondo seminario di Marco Ferrini sulla Bhagavad Gita Cap. I-IV. Luglio 2010

In questa breve presentazione al secondo seminario sulla Bhagavad Gita, Marco Ferrini focalizza l’attenzione sui possibili livelli di lettura dell’opera, inserendola nel contesto letterario, storico e simbolico al quale appartiene. Si tratta di 700 strofe (shloka) all’interno del sesto libro del Mahabharata, il quale tratta del dharma, incarnato in prima persona dall’imperatore Yudishtira, figlio “naturale” di una donna e del dharma stesso. E’ la saga più grandiosa dell’umanità che sia mai stata scritta dove il bene e il male si scontrano in una battaglia alla quale partecipa l’universo intero e Dio stesso nella figura di Krishna, cugino di Arjuna, l’eroe mahabharatiano protagonista di primo piano. In questo scontro che provoca onde oltre l’umano ed il percettibile, trovano una mirabile sintesi le gioie e i dolori con tutti i dualismi che affliggono l’umanità e un teismo non dogmatico, amichevole, il quale mai occupa né restringe, ma anzi esalta, il libero arbitrio. E’ il tentativo di dare una spiegazione a ciò che di grandioso e di terribile c’è nell’universo a partire dal microcosmo interiore attraverso la legge che penetra e sostiene ogni particella del creato. Ma per questo c’è bisogno di una predisposizione alla lettura che non è quella abitualmente sperimentata in occidente; oltre il livello storico-letterario, pure bellissimo, utile e particolarmente apprezzato in occidente, c’è una dimensione simbolica e morale che non sfugge ai più attenti cultori di questa letteratura, ma, dice Marco Ferrini, solo una lettura all’interno della tradizione da cui sgorga questo capolavoro può renderne il fine ultimo, la vera motivazione per la quale “terra e cielo” hanno messo mano a quest’opera: trasformare il modo di pensare e di sentire dell’uomo, favorire il cambiamento di visuale nel senso di un’evoluzione che reintegra l’umanità nell’universo, nelle infinite concordanze tra micro e macro  secondo la più originale tradizione upanishadica. La funzione del “Canto del meraviglioso Signore” è quella di svelare la realtà ad un’umanità che non riesce più a volgere lo sguardo verso l’alto, irretita nei meccanismi coatti della materia. Il dialogo archetipico tra maestro e discepolo, incarnati rispettivamente da Krishna e Arjuna, va oltre le innumerevoli metafore e figure che ci riportano alla condizione umana, nella quale, come insetti in una ragnatela ci si dibatte in continuazione tra realtà e illusione, tra bene e male, luce e ombra. Lo sconforto di Arjuna è la tragedia di Ulisse e di Dante, è il pelago e la selva oscura, quel “gran mar dell’essere” dantesco nel quale ognuno approda a porti diversi secondo quanto è più o meno vicino a Krishna/Dio, essenza della legge universale che tutto regge e governa. Qui sta l’insegnamento esoterico della Bhabavadgita, perché la contestualizzazione storico letterale, le implicazioni simboliche e morali, sono tutti insegnamenti che appartengono ancora all’essoterismo e che possono essere colti da chiunque abbia il desiderio e la volontà di apprendere usando la mente e il cuore. Ma l’insegnamento più alto della Bhagavadgita, è un’esperienza che parte dalla conoscenza e dall’ispirazione per approdare alla sapienza, quindi prima bisogna conoscere, usare tutta la nostra capacità razionale ed infine trascenderla in una dimensione che in occidente si chiama misticismo e che nell’Ashtanga yoga di  Patanjali si chiama Samadhi.

Graziano Rinaldi

01.

Pomeriggio 31 luglio 2010

Appunti direttamente dalla lezione di Matzyavatara

Il viaggio che stiamo facendo è dalle tenebre alla luce, alla ricerca della “vera” soddisfazione, santosha, il completo appagamento, come se il cuore fosse un recipiente completamente pieno e la soddisfazione tale che non ci siano più né rimpianti (tutto quel che è passato è stato trasformato in un presente espanso dove non c’è più spazio), né brame.

L’esperienza ordinaria però non dice nulla al riguardo, l’esperienza ordinaria entra nelle antinomie e si avvita su se stessa, dobbiamo farci spuntare le ali e volare al di sopra dei confini ordinari.

Le difficoltà sono parte integranti della vita incarnata, e non si tratta di qualcosa di accessorio, quegli imprevisti sono invece indispensabili per superare i nostri limiti, con tutto ciò che noi possiamo prevedere e progettare noi non supereremmo i nostri limiti, perché tutta quella progettazione è proprio all’interno dei nostri limiti. E’ grazie a ciò che accade fuori e spesso “contro” la nostra volontà che noi troviamo occasioni straordinarie per fare il salto, la metànoia che permette a Dante di uscire dall’Inferno.

Tutti i Purana (antiche narrazioni) sono stati narrati nella foresta di Naymisharagna (nella tradizione 52 secoli fa) dove i saggi vi si riunirono alla fine dell’era di dvaparayuga per compiere un sacrificio che avrebbe dovuto durare mille anni al fine di predisporre il maggiore auspicio per far fronte all’era di Kaly che stava iniziando, epoca nella quale le persone diventano ottuse, così poco inclini a superare la percezione dell’apparenza per andare alla profondità dell’esistente che necessitano di un grande aiuto, in questa foresta si ha la manifestazione del Bhagavata purana e di tante altre opere.

La BG è un’opera più complessa di quello che appare a prima vista, perchè ha diversi livelli di lettura e quindi di comprensione: letterale, metaforica, morale e anagogica (trascendente).

Il seminario vuol far risaltare il punto d’intersezione tra questi vari livelli per comprenderla profondamente, se noi cogliamo quel comune denominatore fra i 4 livelli, non solo comprendiamo profondamente, sentiremo che si muoverà dentro di noi una comprensione che agisce di per sé, che agisce, che pensa, che vibra, ma saremo anche in grado di condividerla con altri situati su differenti piani evolutivi. Inoltre potremo anche di capire che cosa intendessero nel momento storico in cui la conversazione è avvenuta, quali fossero i parametri per misurare il sociale, il religioso, in definitiva l’antropologia di quella civiltà.

Sono passati 52 secoli e il testo ha resistito vigorosamente agli attacchi del tempo, delle culture, delle mode, il mondo è passato attraverso innumerevoli fasi politiche, religiose, sociali ma la BG ha continuato a nutrire ricercatori di ogni tempo e razza del mondo fino ad oggi.

Ma cos’ha di così particolare? La BG non è un trattato astratto, ideologico, è colma di doni per gli esseri umani, è un testo per risolvere i problemi esistenziali di tutti i tipi; un testo infatti ha valore nella misura in cui riesce ad assecondare la marcia verso la perfezione che tutti gli esseri umani, in modi molto diversi, più o meno intraprendono, anche se talvolta senza neanche comprendere, molti poi devono comprendere loro malgrado che questo piacevole mondo pur tuttavia non è il nostro mondo, che il mezzo non può essere confuso col fine: la BG ci richiama al nostro scopo, alla nostra meta, a focalizzarci su ciò che è reale, sat, e a considerare adeguatamente ciò che reale non è. Già questo insegnamento per distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è, riconoscere ciò su cui non possiamo fare i conti a lungo perché ha una fruizione limitata e ciò che invece rappresenta la nostra reale identità, quella “realtà” non limitata ad una percezione individuale, una realtà che solo pochi individui riescono a realizzare, è un dono ineguagliabile

Questa introduzione di stasera si propone di esporre i contenuti della BG e soprattutto una modalità per accostarsi a questo grande testo sapienziale, una prospettiva, un darshana (visione) attraverso il quale possiamo intravedere sullo sfondo qualcosa che si muove e che non avevamo mai notato.

E’ da lì che inizia una dimensione altra che è proprio la dimensione che ci appartiene.

La BG come tutte le grandi opere è pervasa ed inquadrata in uno sfondo, un clima drammatico, scelte terribili da compiere, difficilissime, l’essere umano è posto di fronte a decisioni laceranti, l’essere o non essere shekspiriano, è il fare o non fare d’Arjuna in cui la scelta è gravida di conseguenze drammatiche, tragiche. Il dialogo assume toni drammatici e poi si addolcisce, si smussa, si colora di prospettive meravigliose, scenari altamente auspicabili, di visioni del mondo, della vita, dell’amore che travalicano ogni stato condizionato. Questi scenari appaiono e scompaiono come accade anche ai migliori tra gli uomini, qualche volta c’è l’ispirazione, la visione, una leggerezza tale che sembra che il cuore abbia messo le ali, poi arriva la pesantezza, l’oscurità, la confusione della memoria, l’insoddisfazione, la paura, la collera, l’astio; la BG mette a nudo tutti questi aspetti dell’essere umano ma non crudamente come farebbe uno sterile ricercatore di stati d’animo, non per etichettare questi moti dell’animo, ma per farci notare da cosa insorgono, sia quelli distruttivi che quelli costruttivi ed evolutivi che noi possiamo cavalcare come esseri alati che possono prendere la corrente ascensionale e mantenere una quota da cui vedere la realtà in un certo modo.

La BG ha come scenario un imminente lutto, poi la tragedia si consuma, la sofferenza sgorga e può contaminare chi non è capace di non comprenderne la ragione ed osservarla con senso di realismo, perché è la vita che è così, la BG parla di piacere e di dolore, ma li contestualizza nella realtà e mostra la vera sorgente della paura, del dolore e dell’invidia, della sofferenza, così come mostra la sorgente dell’affetto, della fiducia, della speranza, della fede e infine della beatitudine. Molti testi parlano di eroi di odi e di amori, ecc. ma la peculiarità della BG è che tutto è contestualizzato nella realtà a diversi livelli fino al piano spirituale. Tutti incontrano la gioia e il dolore nella vita, ma cosa farne della gioia e del dolore non tutti lo sanno, la BG ha questa funzione, ma non solo, ce ne sono di più importanti, ad esempio la speranza che con la pratica diventa fede stabile, e che si rafforza in ogni circostanza, soprattutto quando ci sono ostacoli, di questo ci parla la BG, è una promessa.

La Bg ci dice dove stare in ogni circostanza, ci spiega il dharma: chi sostiene il dharma è dal dharma sostenuto. Nei momenti veramente difficili il dharma fa sentire che c’è una base. Il dharma è il più importante contenuto della BG, ma serve da fondamento per costruire relazioni d’amore che se non sono basate sul dharma non hanno nessuna tenuta e si trasformeranno nel loro contrario.

E’ un cammino, uno spostamento, un’ascensione, un viaggio, un volare, ecco perchè bisogna farsi esseri alati per volare sui picchi illuminati, quelli più alti della coscienza. E la BG è uno strumento straordinario per questo volo.

Vi metto in guardia rispetto ad una lettura “casual” della BG, può non frantumare le barriere che ci siamo costruiti intorno anche nella pia convinzione di difendersi meglio dai pericoli del mondo, bisogna predisporsi, è un lavoro fondamentale, nelle upanishad viene detto: “dimmi di nuovo perché non c’ero” nel senso che non c’ero con la coscienza consapevole, perché dobbiamo riuscire a far confluire le tensioni del subconscio e dell’inconscio. Bisogna leggere la BG come fossimo bambini, guardando con stupore ad ogni nuovo momento, ogni nuova visione.

La BG fa parte della grande storia dei Bharata. La dimensione del Mahabharata si svolge solo apparentemente in uno spazio temporale, ma la sua dimensione è cosmica, non caliamoci troppo nell’immagine del momento cercando di storicizzarla secondo un inclinazione tipicamente occidentale per incasellarla dentro ad un confine storico, questo può servire per capire lo svolgimento, ma bisogna sapere che ogni elemento che si manifesta in quell’apparente paradigma spazio-temporale ha una risonanza nella coscienza e nell’ultra mondo, le risonanze, gli effetti si hanno anche in altre dimensioni: il Mahabharata è un’opera per gli uomini ma è anche un’opera che porta beneficio a tutte le creature e a tutti gli elementi. In realtà tutti i mondi e tutte le vite sono in continua interrelazione ma pochi ne hanno consapevolezza. Il Mahabharata mentre ci narra le vicende di cui sono protagonisti umani, deva e asura, dell’interazione di differenti esseri, ci porta alla contemplazione di uno spettacolo in cui noi siamo chiamati a fare scelte personali. La shruti si ascolta, mentre la smriti si ricorda (scritto), ma ciò che colpisce, che resta dentro, è l’ascolto, il quale si muove, le sue vibrazioni scrollano, penetrano, se togliamo i sigilli dalle orecchie e facciamo l’ascolto col cuore esso lo sa accogliere, non le orecchie che sono strumenti.

Il Mahabharata, attraverso le vicende umane, poiché agli umani interessano soprattutto le vicende in cui hanno a che fare gli umani, ma queste vicende riguardano il cosmo nella sua interezza e riguardano anche il nostro cosmo interiore in particolare che è il nostro vero patrimonio, si creano degli interessi per attirare la nostra attenzione, ma il portato di quegli interessi trasforma la nostra visione e ci permette di entrare in contatto con noi stessi, modificando il nostro sentire, questo è il Mahabharata e questa è la BG. Quei 700 shloka (strofe) nel VI libro del Mahabharata, il libro di Bishma, una vera tragedia, sono in grado di risvegliarci completamente e di promuoverci in cielo da vivi, non è una promessa per dopo la morte è per il qui e ora e ciò che promette non dobbiamo andarlo a consultare sui quotidiani, lo possiamo verificare noi stessi, è un segreto ma una volta ricevuta la chiave di lettura noi possiamo con chiarezza fare il bilancio della nostra vita, del nostro autentico patrimonio minuto per minuto. Noi possiamo verificare, capire che cosa stiamo facendo, se stiamo ascendendo o se siamo pericolosamente inclinati verso il basso in un trend di degradazione, perché questa raja vydia, sapienza regale, è anche segreto regale conosciuto il quale attraverso la pratica del dharma, ovvero vivendo lo swadharma (che è il proprio contributo personale) all’interno del dharma cosmico (sanatana dharma) qualsiasi passo, mossa, azione è ricolma di gioia. Questa è la promessa della BG che può essere soddisfatta. Il cantore della BG (Krishna) colui che fa la promessa ci dice anche che se noi non accogliamo con sincerità e serietà e non pratichiamo in maniera corretta, non si ottiene ciò che è stato promesso. Ma proprio l’archetipo del guru, Krishana, il Signore supremo, dice che non si deprima chi non è riuscito a cogliere il cento per cento del suo messaggio, perché in qualsiasi misura lo abbia colto avrà benefici immortali, perché vita dopo vita i benefici si accumulano.

Se poi il lavoro sul testo è introdotto con la meditazione dà senso alla vita.

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