Abbazia di Cîteaux, Borgogna, aprile 1112.
Il ventiduenne Bernardo, figlio di Tessellino le Saur, signore di Fontaine e vassallo dei duchi di Borgogna, si presenta al monastero cistercense. Rinuncia agli agi e ai titoli, e chiede di abbracciare la vita monastica. Con lui arrivano trenta compagni: almeno quattro fratelli e uno zio che ha convinto a seguirlo.
I cistercensi sono benedettini che, dal 1098, proprio a Cîteaux, a pochi passi dal castello paterno di Bernardo, vogliono riportare il monachesimo alla sua austerità originaria: ora et labora, semplicità, lavoro nei campi, preghiera essenziale.
La forza carismatica e l’attivismo di Bernardo attirano così tanto che, dopo appena due anni, gli viene affidata la fondazione di una nuova abbazia: Clairvaux (Chiaravalle). Morirà a 63 anni, lasciando sessantotto abbazie figlie. A trentotto anni ispira la nascita dell’Ordine del Tempio (i Templari) e ne promuove l’opera, ponendo in posizione di guida lo zio.
La sua visione — austerità evangelica e rigore ascetico — lo spinge però anche oltre i chiostri: Bernardo interviene con decisione nella vita religiosa e politica della prima metà del XII secolo. Nel 1133, ad esempio, fa da paciere tra Pisa e Genova. Per intensità d’azione e autorevolezza spirituale, diventa una delle figure centrali dell’Europa del suo tempo.
Il suo ardore censorio, a tratti inflessibile, mira a ricondurre vita religiosa, cultura e società entro i canoni della Scrittura meditata e studiata. E tuttavia questo zelo si nutre di una vita profondamente contemplativa, radicalmente distaccata dagli onori mondani.
Un secolo dopo, Francesco d’Assisi fonderà un ordine nuovo, animato dagli stessi principi di povertà e purezza evangelica. Anche il suo sarà un successo inatteso e rapidissimo. Ma le due vie non coincidono. Bernardo predica la crociata in Terra Santa; Francesco, a Damietta, va incontro al Sultano. Bernardo si rivolge ai Catari per ricondurli all’alveo di Roma; Francesco intona il Cantico delle Creature.
Perché Dante sceglie Bernardo come ultima guida?
Giunto al culmine del Purgatorio, Dante deve varcare la soglia del mistero di Dio. Qui neppure Beatrice può più accompagnarlo: l’ultima mano che lo guida è Bernardo di Chiaravalle. Nella Commedia, egli incarna il vertice del cammino spirituale: la contemplazione mistica come forma più alta e pura della conoscenza del divino.
Eppure quella visione non è evasione. In Bernardo, la mistica si armonizza con un alto senso civico: un uomo interiormente pacificato che, senza chiedere nulla, si spende per la polis religiosa e politica, pur sapendo quanto siano esposte al logoramento — quasi obbedendo a una legge di entropia sociale. Se Francesco è il santo cui Dante si sente più vicino, Bernardo è colui che coniuga vita contemplativa e vita attiva con lo stesso ardore profetico che attraversa l’opera dantesca.
Un ponte con la Bhagavadgītā
Questo connubio di azione e meditazione risuona anche nella Bhagavadgītā: realizzare nella città terrena la città celeste che l’Amore detta nel cuore. Non a caso Arjuna riceve le “regole del gioco” in mezzo al campo di battaglia, accanto al Dio che gli mostra la forma universale e, dopo innumerevoli insegnamenti morali e spirituali, lo invita ad abbandonare ogni religione e a consegnarsi con fede a Lui, presente nel cuore di ogni essere vivente.
Bernardo — tra chiostro e agorà, tra silenzio e parola — resta così simbolo di una sapienza integrale: l’azione che nasce dalla contemplazione e alla contemplazione ritorna.
Graziano Rinaldi
